La NATO e l’Unione Europea: le fasi dell’evoluzione della difesa europea

L’obiettivo di una politica estera europea, che non figurava nel Trattato di Roma,1 iniziò a prendere corpo nel giugno 1970, quando i Ministri degli Affari Esteri dei sei Paesi fondatori della CEE (Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi) prefigurarono lo sviluppo di una Comunità Politica Europea (CPE). Con il rapporto Davignon,2 pubblicato nell’ottobre successivo, vennero precisati sia gli obiettivi, quali armonizzazione delle posizioni consultazione e, ove opportuno, azione comune, sia i metodi, ossia riunioni semestrali dei Ministeri degli Affari Esteri nel Comitato Politico. Iniziò dunque, nel quadro della CEE, anche un processo intergovernativo di concertazione sui temi di politica internazionale, che si intensificò strada facendo, fino a trovare una base giuridica nel Titolo III dell’Atto Unico (1986)3.

Durante i negoziati del 1990-1991, emersero due differenti approcci concernenti la futura struttura di sicurezza e difesa dell’Unione Europea. Il primo, noto come “atlantisti”, di cui fecero parte Gran Bretagna, Portogallo e alcuni piccoli membri (come i Paesi del Benelux), rifiutò di considerare qualsiasi iniziativa di sicurezza europea. Il secondo, gli “europeisti”, guidati dalla Francia durante la presidenza di François Mitterrand, che aspirò invece a completare il processo di integrazione con la politica di sicurezza e difesa comune europea, al fine di bilanciare la soverchiante influenza statunitense nell’era post Guerra Fredda4. Tendenza che venne rafforzata specialmente durante il rapprochement tra la Francia e la Germania nel 1991, il quale avrebbe avuto una considerevole influenza sugli sviluppi della politica di sicurezza in Europa. Difatti, nonostante essi fossero storicamente appartenenti a “campi filosofici opposti” in relazione alle disposizioni di sicurezza di base in Europa, essi furono, tuttavia, il “motore” della nuova sicurezza, mediante la proposta di creazione dei cd. “EuroCorps”, sollevando conseguentemente, timori nei Paesi partner di eventuale ascesa del dominio Asse tedesco-francese nel continente europeo5.

In realtà, l’obiettivo dei due Paesi fu tutt’altro: la necessità di instaurare un nuovo ambiente politico in cui la Germania (oramai unificata) e la Francia dovessero proseguire di pari passo per evitare una concepibile rinazionalizzazione della politica di sicurezza, che veniva spesso giudicata come preoccupante su entrambe le sponde del Reno, dato che avrebbe portato il riemergere delle vecchie lotte di potere degli Stati nazionali dell’Europa occidentale. 

Inoltre, l’opinione che la NATO avrebbe perso inevitabilmente almeno parte della sua coesione, favorì l’opinione in Francia che il quadro europeo per l’integrazione della Germania dovesse essere rafforzato. Dal punto vi vista tedesco, invece, la preoccupazione di perseguire “una politica nazionale” consapevole di sé motivò i responsabili politici ad andare nella stessa direzione, mentre i Paesi partner, dall’altro lato, difficilmente avrebbero potuto opporsi fortemente a questa dinamica politica, considerato che molti condividevano l’opinione che la Germania unificata andasse integrata in un quadro politico-militare abbastanza stretto6.

Alla luce di tali fattori e della considerazione del rapporto franco-tedesco, quale “materia personale” intercorrente tra il Presidente francese Mitterrand e il Cancelliere tedesco Kohl (noti come “padri della conciliazione”), ci fu l’iniziativa dei rispettivi Ministri degli Esteri Dumas-Genscher, contenuta nel non-paper del 6 febbraio 1991. In tale documento, vennero presentate diverse proposte sulla Politica di Sicurezza Comune europea e le sue priorità, fra le quali relazioni economiche e politiche e cooperazione con l’Unione Sovietica, i Paesi dell’Europa centrale e orientale, gli Stati Uniti e il Canada (sulla base delle Dichiarazioni di novembre 1990) e la non-proliferazione nucleare.

Particolare rilevanza venne attribuita alla cooperazione dell’Unione Europea e dell’Alleanza atlantica con l’Unione dell’Europa Occidentale (UEO). L’UEO fu istituita con il Trattato di Bruxelles del 17 marzo 1948, modificato successivamente dagli Accordi di Parigi del 23 ottobre 1954, il quale diede vita a un patto di autodifesa collettiva fra i 5 Stati allora contraenti: Belgio, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Regno Unito (e in un secondo momento anche l’Italia). Di tale Trattato, la disposizione fondamentale fu l’art.5, che prevedeva l’assistenza automatica di tutti gli Stati membri in caso di aggressione nei confronti di uno di essi (analogo all’art.5 del Trattato del Nord Atlantico). La sua Presidenza veniva attribuita a turno ai Paesi membri su base semestrale, secondo l’ordine alfabetico inglese ma che tuttavia, poteva essere modificato al fine di consentire la coincidenza con la Presidenza dell’Unione Europea. I suoi organi principali erano il Consiglio dei Ministri, il Segretario generale e l’Assemblea parlamentare. Per quanto concerne il primo, a seguito delle decisioni adottate dall’Unione europea con il Trattato di Amsterdam, non si è più riunito dal novembre 2000, in quanto le funzioni operative della UEO sono state completamente trasferite in seno all’UE, cessando di fatto, dal 1° luglio 2001, di avere un ruolo operativo nella difesa europea7.

Oltretutto, il non-paper prevedeva per l’UEO un “legame organico” con le altre due Organizzazioni, mediante l’armonizzazione della sequenza e durata delle presidenze; Sincronizzazione delle sessioni e metodi di lavoro; Creazione di un gruppo di pianificazione e coordinamento militare dell’UEO che lo avrebbe incaricato delle missioni di: pianificazione delle azioni congiunte anche in caso di crisi; Pianificazione operativa della cooperazione in casi di calamità naturali; Coordinamento dello studio dei bisogni in ogni ambito di cooperazione e infine, organizzazione di manovre congiunte. Il tutto, avrebbe condotto verso una più stretta cooperazione militare a complemento dell’Alleanza, in particolare nella sfera della logistica, dei trasporti, di formazione e intelligence8.

Il 7 febbraio 1992 venne firmato, a Maastricht, il Trattato sull’Unione Europea (TUE, in vigore dall’11 novembre 1993) che, sulla base dell’esperienza di Cooperazione Politica Europea, segnò l’avvio di una nuova dimensione, quella della Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC), che, costruendo sull’esperienza della CPE, aggiunse nuovi strumenti, superando in tal modo, l’approccio in larga misura declaratorio che caratterizzò la fase precedente. In particolare, esso introdusse i tre pilastri sui quali si sarebbe retta l’Unione: il primo, quello della Comunità europea, il secondo, la politica estera e di sicurezza comune (PESC) e il terzo, la giustizia e affari interni (GAI)9.

Attraverso la PESC, l’Unione mirava alla salvaguardia dei propri valori comuni e interessi fondamentali, nonché della propria indipendenza ed integrità, in maniera conforme alla Carta delle Nazioni Unite. Inoltre, doveva perseguire il proprio rafforzamento “con ogni misura possibile”,10 come sancito dal Titolo V del suddetto Trattato, la difesa dei valori comuni, degli interessi fondamentali e dell’interdipendenza dell’Unione; il rafforzamento della sicurezza dell’Unione e dei suoi Stati membri in tutte le sue forme; il mantenimento della pace e rafforzamento della sicurezza internazionale, la promozione della cooperazione  internazionale e infine, lo sviluppo e consolidamento della democrazia e dello Stato di diritto, nonché rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali11.

Tuttavia, era necessaria una cooperazione sistematica tra i membri per la condotta della loro politica, conformemente alle disposizioni del Trattato, e realizzare gradualmente azioni comuni nei settori in cui gli Stati membri avevano comuni interessi rilevanti. Pertanto, il secondo pilastro doveva essere caratterizzato dal ricorso al “metodo comunitario”, dato il limitato diritto di iniziativa della Commissione relativo a determinati aspetti specifici e condiviso con gli Stati membri; perché le decisioni sono adottate all’unanimità dal Consiglio.

L’avvento della PESC consolidò significativi progressi in tre direzioni: abbraccia insieme le questioni politiche e quelle di sicurezza, inclusa l’”eventuale formulazione di una politica di difesa comune”; Rafforza il significato della concertazione e dell’elaborazione di posizioni comuni sui temi di politica internazionale, obbligando gli Stati membri a “vegliare sulla conformità delle loro politiche nazionali alle posizioni comuni”; Crea un nuovo strumento giuridico, l’Azione Comune, in grado di impiegare risorse finanziarie dell’UE per azioni collettive nel settore della politica estera e di sicurezza12.

Dal punto di vista storico, la nascita della PESC e del relativo quadro istituzionale rifletté l’esigenza di una capacità operativa dell’Unione Europea nella gestione delle crisi internazionali, evidenziata nei primi anni Novanta dalle drammatiche vicende nei Balcani. Allo stesso tempo, essa rispecchiò la presa di coscienza collettiva dell’inadeguatezza degli strumenti fino a quel momento a disposizione dell’Unione Europea in quanto tale. Sullo sfondo, intanto, restava il nodo della relazione fra l’Unione e la NATO, che a sua volta era impegnata, nel frattempo, in una fase di profonda trasformazione da alleanza difensiva a strumento per operazioni “fuori area”.

Nel quadro di tale dialettica, un impulso decisivo verso la sintesi provenne dal vertice franco-britannico del dicembre 1998 a Saint-Malo,13 dove fu elaborata l’omonima Dichiarazione.

Diversi fattori condussero alla sua firma: il primo, fu il cambiamento dell’approccio del Regno Unito verso la difesa europea, riconducibile al nuovo governo laburista in Gran Bretagna, guidato da Tony Blair, il quale portò con sé un nuovo atteggiamento verso l’Europa: un ruolo più costruttivo rispetto a quello dei suoi predecessori. Egli infatti, sposò la teoria che nel XXI° secoli non ci fosse più bisogno di una scelta definitiva tra l’essere Europei e l’essere gli alleati più stretti degli Stati Uniti, ma entrambi.

Questo cambio di rotta a sua volta mobilitò i Francesi, i quali a lungo supplicarono per un incremento nella cooperazione militare. Il Governo francese fece un passo importante quando decise di fornire le sue forze (e il loro comando) alla Forza di Estrazione (XFOR) per il Kosovo sotto la NATO (e dunque degli Stati Uniti). Così facendo, essi provarono che non fossero ostili a quest’ultima e alle sue operazioni di comando nei conflitti, come credevano in precedenza. Invece, essi erano difficili da convincere, ma una volta saliti a bordo, erano solitamente i primi a fornire le truppe, assumendosi grandi rischi militari. Contrariamente alla credenza popolare, essi sono molto pragmatici nelle operazioni militari.

Il secondo motivo che indusse gli Europei a essere più recettivi verso la difesa comune, fu l’entrata in vigore dell’euro. Esso, infatti, segnò l’inizio dell’integrazione europea di dimensioni senza precedenti. Mentre permanevano differenze a livello culturale, d’istruzione, di lingua, le economie dei membri dell’eurozona sarebbero diventate, al contrario, simili, mediante la creazione di un’entità economica che non poteva esistere senza una politica estera comune al fine di indirizzare gli interessi comuni dei suoi membri. E una politica estera, senza una politica comune di sicurezza, sarebbe inimmaginabile, così come quest’ultima non sarebbe credibile senza una politica comune di difesa14.

Il terzo motivo, fu l’imperativo di consolidamento delle industrie di difesa europee e la creazione di un importante incentivo economico per la cooperazione di difesa. Gli eventi passati resero chiaro che le industrie di difesa europee avrebbero perso il resto della loro quota di mercato se non avessero seguito (e consolidato) l’esempio statunitense.

Il quarto, invece, fu la guerra in Kosovo, o più precisamente, quello che non accadde lì15. L’incapacità dell’Unione Europea a rispondere alla crisi, combinata alla riluttanza degli Stati Uniti a impegnare le proprie forze in operazioni rischiose nel teatro europeo, indussero allo sviluppo della PESD.

Pertanto, fu sostenuta l’istituzione, all’interno dell’Unione Europea, di strutture necessarie per supportare il processo decisionale in materia di difesa, controllo politico e direzione strategica delle operazioni di gestione delle crisi. Mentre il Regno Unito sottolineava che di ogni miglioramento delle capacità europee ne avrebbe beneficiato anche la NATO (fu proprio questo, invece, l’obiettivo chiave per il Regno Unito), la Francia, Germania e altri Paesi membri erano molto più concentrati sullo sviluppo di una capacità autonoma dell’Unione Europea come parte del processo di integrazione16.

L’autrice Rita Granata per l’Osservatorio Istituzionale/Centro Studi d’Europa, identificato dall’ISSN 2785-2695 e iscritto nel registro dei periodici con Decreto del Tribunale di Roma n.44 del 29 marzo 2022.

1) Il Trattato che istituisce la Comunità Economica Europea, difatti, vennero firmati il Trattato della Comunità Economica Europea e il Trattato della Comunità Europea dell’energia atomica (Euratom). I Trattati di Roma vennero firmati il 25 marzo 1957 ed entrati in vigore il 1°gennaio 1958.

2) Venne presentato al Vertice di Lussemburgo nel 1970, in seguito alla richiesta dei capi di Stato e di governo di esaminare la possibilità di avanzare sul piano politico. Fu l’inizio della cooperazione politica europea (CPE), varata in maniera informale nel 1970 e successivamente istituzionalizzata dall’Atto unico europeo (AUE).

3) Gabriele Altana e Stefano Baldi, “Vademecum della PESD. Breve guida della Politica Europea di Sicurezza e Difesa”, 2009, p. 11 ss.

4) Çinar Özen, “ESDP-NATO Relations: Considerations on the future of European Security Architecture”, 2002, p. 233 ss.

5) Peter Schmidt, “Annexe” da “The special Franco-German security relationship in the 1990s”, European Union Institute for Security Studies (EUISS), giugno 1993.

6) Peter Schmidt, “The future of the special bilateral relationship”, da “The special Franco-German security relationship in the 1990s”, European Union Institute for Security Studies (EUISS), giugno 1993.

7) L’Unione Europea Occidentale (UEO), leg16.camera.it.

8) Peter Schmidt, “Annexe”, op. cit.

9) Trattato sull’Unione europea (TUE) / Trattato di Maastricht, europarl.europa.eu. Per ulteriori approfondimenti si veda il sito https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:11992M/TXT.

10) Gabriele Altana e Stefano Baldi, op. cit.

11) Trattato di Maastricht, febbraio 1992., p.58 ss.

12) Gabriele Altana e Stefano Baldi, op. cit.

13) Ivi.

14) Margarita Mathiopoulos e Istvan Gyarmati, “Saint Malo and beyond, Toward European Defense”, p. 67 ss.

15) Ivi.

16) Alistair J. K. Shepherd, “A Milestone in the History of the Eu: Kosovo and EU’s international role”, Oxford University Press on behalf of the Royal Institute of International Affairs, p. 513 ss.