Lo sviluppo della Politica Estera di Sicurezza e Difesa

Il secondo motore della PESD fu evidente con l’intensificarsi della guerra. Durante l’Operazione Allied Force, Tony Blair parlò di una “nuova dottrina della comunità internazionale”, che si sarebbe dovuta basare sulla convinzione che “il principio di non interferenza debba essere qualificato sotto aspetti importanti”. “Quando l’oppressione produce flussi massicci di profughi che turbano i Paesi vicini, dovrebbero essere propriamente descritti come minacce alla pace e alla sicurezza internazionali”; dottrina, questa, dell’intervento umanitario, basata sulla sicurezza dei popoli, così come quella degli Stati. Quando il conflitto degenerò nel 1998, la preoccupazione inglese e francese, relativa alla continua mancanza di hard power dell’Unione Europea, ossia le capacità militari primarie, si intensificarono al punto tale, da lanciare l’iniziativa chiave da cui si sarebbe sviluppata la Politica Estera di Sicurezza e Difesa dell’Unione: Saint-Malo1.

La base giuridica di tale sviluppo sarà fissata poi nel Trattato di Amsterdam, firmato nel 1997, che includerà le cosiddette “missioni di Petersberg”, contenenti appunto, missioni che vanno dall’humanitarian aid al peace enforcement2; una politica di sicurezza e di difesa che sarebbe stata riconducibile alla “volontà degli Stati membri”, se essi, “lo riterranno opportuno […] dalla loro reciproca cooperazione nel settore degli armamenti”, come sancito dall’art.7/1 del Trattato. Oltre a ciò, esso prevedeva anche la possibile integrazione dell’UEO nell’Unione Europea, previa autorizzazione del Consiglio Europeo (art.17/1). Inoltre, introdusse altre innovazioni, come l’attribuzione al segretario Generale del Consiglio anche il ruolo di Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune e conferendo al Consiglio Europeo una specifica competenza di “orientamento” in tema di PESC e di Politica europea di sicurezza e difesa (PESD).

Dunque, fu in occasione di Saint-Malo, che i due Stati membri più dotati di capacità militari, la Francia e la Gran Bretagna, raggiunsero un’intesa di massima sui caratteri fondamentali del futuro strumento militare dell’Unione Europea, recepita successivamente dagli allora quindici Stati membri dell’Unione al Consiglio Europeo di Colonia (giugno 1999): si trattò, in termini politici, dell’atto di nascita della Politica europea di sicurezza e difesa. Il vertice del Consiglio a Santa Maria de Feira (giugno 2000) decise quindi di sviluppare, accanto agli strumenti militari, anche il settore civile della PESD; infine, il summit di Nizza (dicembre 2000), concordò la creazione di strutture tecniche del Segretariato Generale del Consiglio dedicate alla PESD, anche attraverso l’assorbimento di quelle già esistenti nell’ambito dell’Unione Europea Occidentale3.

Peraltro, a Nizza si definirono le relazioni dell’Unione Europea con i Paesi Terzi e la NATO in materia di gestione delle crisi (la Danimarca ratificò il TUE con l’aggiunta della clausola opt-out in materia militare, non partecipando quindi, alle operazioni militari della PESD ma solo a quelle civili). La sommatoria di tali decisioni costituì un equilibrato compromesso tra due possibili opzioni più radicali: quello dello sviluppo di una capacità di gestione delle crisi dell’Unione Europea totalmente autonoma da un lato, e dall’altro, quella del mero rafforzamento del contributo europeo alle capacità della NATO. La PESD venne dichiarata operativa nel 2001, al Consiglio Europeo di Laeken, mentre quello di Siviglia del 2002, definì il principio del possibile impiego di risorse PESD anche a sostegno della lotta al terrorismo nei Paesi terzi e soprattutto, l’intesa raggiunta tra l’UE e la NATO, nota come Berlin plus4.

Con il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° gennaio 2009, furono introdotte alcune novità, fra le quali la personalità giuridica attribuita all’Unione, l’eliminazione della struttura a pilastri e una serie di innovazioni che hanno consentito di migliorare la coerenza politica della Politica di Sicurezza e Difesa Comune, ossia la creazione di nuovi attori della PESC. Si trattava dell’’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che eserciterà anche la funzione di Vicepresidente della Commissione europea (l’AR/VP), rivestendo un ruolo istituzionale principale: dirige il Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), presiede il Consiglio “Affari esteri” nella configurazione “Ministri della difesa” (l’organo decisionale della PSDC dell’UE), dirige l’Agenzia europea per la difesa (AED) e infine, presenta agli Stati membri le proposte di decisione relative alla PSDC5. Dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la Politica di Sicurezza e Difesa Comune (PSDC) è notevolmente cambiata, sia sotto il profilo politico sia sotto il profilo istituzionale. Nel dicembre 2003, il Consiglio europeo ha adottato, per la prima volta, la strategia europea in materia di sicurezza, divenendo una pietra miliare nello sviluppo della politica estera e di sicurezza dell’Unione Europea.

In essa sono state individuate una serie di minacce e di sfide agli interessi europei in tale settore: prima fra tutte, la proliferazione delle armi di distruzione di massa. Essa, sia da parte degli Stati che dai terroristi, è stata individuata nella strategia come “potenzialmente la più importante minaccia” alla sicurezza dell’Unione Europea. Quest’ultima infatti, è stata molto attiva nei consessi multilaterali e al centro degli sforzi internazionali volti ad affrontare il programma nucleare iraniano. Alla proliferazione si aggiungono ulteriori minacce, quali il terrorismo e la criminalità organizzata, la sicurezza informatica e dell’approvvigionamento energetico e infine, i cambiamenti climatici,6 di cui assistiamo oggi gli effetti.

Inoltre, la strategia ha riconosciuto gli interessi europei in materia di sicurezza oltre le regioni limitrofe e, a tale riguardo, l’Afghanistan costituisce fonte di particolare preoccupazione. L’Europa si è impegnata a lungo a favore della stabilità, dove gli Stati membri dell’UE hanno fornito un importante contributo alla missione della NATO e in prima linea, in materia di governance e sviluppo a tutti i livelli. Dal giugno 2016, l’allora Alto Rappresentante Federica Mogherini ha presentato al Consiglio europeo la “Strategia globale per la politica estera e di sicurezza dell’Unione Europea”, individuando cinque priorità: la sicurezza dell’Unione; la resilienza degli Stati e della società a est e a sud dell’Unione Europea; lo sviluppo di un approccio integrato ai conflitti; ordini regionali di cooperazione; e la governance globale per il XXI secolo. La sua attuazione dovrebbe essere riesaminata, con cadenza annuale, in consultazione con il Consiglio, la Commissione e il Parlamento. Con il passare degli anni, la capacità dell’Organizzazione di far fronte alle sfide si è evoluta, acquisendo sempre più un approccio volto a impedire tempestivamente che le minacce diventino fonti di conflitto, dove il consolidamento della pace e la riduzione della povertà a lungo termine, sono mezzi essenziali7.

Nel novembre 2016, invece è stato presentato il “Piano di attuazione in materia di sicurezza e difesa”, volto a rendere operativa la visione definita nella strategia globale per la politica estera e di sicurezza dell’Unione Europea per quanto concerne le questioni in tale materia. Esso definisce tredici proposte tra cui una revisione coordinata annuale sulla difesa (CARD); una migliore risposta rapida dell’UE; e una nuova cooperazione strutturata permanente (PESCO) unica per gli Stati membri che intendono assumere maggiori impegni in materia di sicurezza e difesa8.

Parallelamente, l’Alto Rappresentante ha presentato agli Stati membri un “Piano d’azione in materia di difesa” (EDAP)9, unitamente a proposte chiave relative al Fondo Europeo per la Difesa (FED), incentrando l’attenzione sulla ricerca nel settore della difesa e sviluppo. Dopotutto, l’Europa è seconda, dopo gli Stati Uniti, a destinare un’esigua parte del bilancio alle spese militari, sebbene ancora in ritardo rispetto a questi ultimi, a causa dell’inefficienza dovuta a sua volta da alcuni fattori, quali duplicazioni, mancanza di interoperabilità e divari tecnologici. Tuttavia, negli ultimi anni, i bilanci della difesa in Europa sono stati in contrazione, mentre altri attori globali, quali Cina, Russia e Arabia Saudita, hanno aggiornato la difesa su scala senza precedenti10. Oltretutto, senza un sostenuto investimento in difesa, l’industria europea rischia di non avere la capacità tecnologica per costruire la difesa della prossima generazione, oltre a influenzare l’autonomia strategica dell’Unione e la sua abilità per agire come fornitore di sicurezza. Pertanto, tale settore non è solo di importanza strategica per la sicurezza dell’Europa, ma è anche il principale contributo alla sua economia, generando un fatturato totale di 100 miliardi di euro all’anno e 1,4 milioni di persone altamente qualificate impiegate direttamente o indirettamente in Europa11.

Josep Borrell, dall’inizio del suo mandato nel dicembre 2019, ha posto il rafforzamento della PSDC al centro delle attività dell’UE, impegnandosi a perseguire le iniziative avviate da Federica Mogherini.

Al fine di dare nuovo slancio alla sua agenda in tale sfera, l’Unione Europea sta attualmente lavorando a una bussola strategica che non mira a dare una direzione strategica rafforzata alla sicurezza e alla difesa dell’UE e a definire il livello di ambizione in questo settore. La prima fase, conclusa nel novembre 2020, consisteva in un’analisi esaustiva delle minacce e delle sfide. La seconda, invece ancora in corso, consiste in discussioni informali tra gli Stati membri concernenti l’analisi delle minacce e le principali conseguenze, del divario di capacità e le priorità degli Stati membri; una fase di dialogo avente come scopo il miglioramento della comprensione comune, da parte degli Stati membri, delle minacce per la sicurezza cui devono far fronte collettivamente e di rafforzamento della cultura europea in materia di sicurezza e difesa. Tale processo è concepito per rispondere alla crescente necessità dell’Unione di agire come garante della sicurezza12.

Per quanto concerne lo sviluppo e l’armonizzazione della cooperazione in materia di difesa tra gli Stati membri, dal 2016 la PSDC ha conseguito una serie di risultati positivi, tra cui: l’avvio della PESCO; una struttura di comando e controllo permanente per la pianificazione e la conduzione di missioni militari non esecutive; un meccanismo per la mappatura delle capacità di difesa e un Fondo europeo per la difesa13.

Nel dicembre 2020, il Consiglio ha raggiunto un accordo politico provvisorio con i rappresentanti del Parlamento su un regolamento che istituisce il FED, nel contesto del quadro finanziario pluriennale (QFP) per il periodo 2021-2027. Con una dotazione di bilancio pari a 8 miliardi di euro in 7 anni destinati al FED, l’UE diventerà uno dei tre principali investitori nella ricerca nel settore della difesa in Europa14.

Lo strumento europeo per la pace è uno degli strumenti più recenti della PDSC ed è mediante tale strumento, che l’Unione Europea finanzierà le spese comuni delle missioni e operazioni militari PSDC, aumentando la solidarietà e la ripartizione degli oneri fra gli Stati membri. Inoltre, tale strumento contribuirà ad aumentare l’efficacia dell’azione esterna dell’UE rafforzando le capacità delle operazioni di sostegno alla pace e le capacità dei paesi terzi e delle organizzazioni partner nel settore militare e della difesa15.

Dal 2003 e dai primi interventi nei Balcani occidentali, l’UE ha avviato e gestito 36 operazioni e missioni in tre continenti, mentre da maggio 2021 sono in corso 17 missioni e operazioni PSDC, di cui 11 civili e 6 militari, che coinvolgono circa 5.000 militari e civili dell’UE impiegati all’estero. Le missioni e operazioni più recenti hanno contribuito a migliorare la sicurezza nella Repubblica centrafricana (EUAM RCA) e a far rispettare l’embargo sulle armi imposto dalle Nazioni Unite alla Libia (EUNAVFOR MED IRINI). Le decisioni dell’UE di dispiegare missioni od operazioni sono di norma adottate su richiesta del Paese partner al quale viene fornita assistenza e/o sulla base di una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite16.

L’autrice Rita Granata per l’Osservatorio Istituzionale/Centro Studi d’Europa, identificato dall’ISSN 2785-2695 e iscritto nel registro dei periodici con Decreto del Tribunale di Roma n.44 del 29 marzo 2022.

1)Alistair J. K. Shepherd, “A Milestone in the History of the Eu: Kosovo and EU’s international role”, Oxford University Press on behalf of the Royal Institute of International Affairs, p. 513 ss.

2) Çinar Özen, op. cit.   

3) Gabriele Altana e Stefano Baldi, op. cit.

4) Ivi.

5) Çinar Özen, ivi.

6) Strategia europea in materia di sicurezza. Un’Europa sicura in un mondo migliore, 2003, p. 13 ss

7) Ivi.

8) Ivi.

9)Politica di Sicurezza e Difesa Comune, ivi.

10) Si basa su tre pilastri che si rivolgono a bisogni differenti ma complementari secondo il ciclo di sviluppo, focalizzandosi sulle tecnologie e sui prodotti: il lancio di un Fondo di Difesa Europeo; promozione degli investimenti nelle filiere di difesa; e rafforzamento del mercato della difesa.

11)European Defence Action Plan, 30 novembre 2016, p.3 ss.

12) Ivi.

13) European Defence Action Plan, ivi.  

14) Ibidem.

15) Ibidem.

16) Ivi.