Competizione e cooperazione nel rapporto transatlantico

Il rapporto tra NATO e Unione Europea nel periodo post Guerra Fredda sembrò convergere su un approccio ampio e rinnovato alla sicurezza, basato sulla centralità del concetto “conflict management”, dovuto alla relativa perdita di rilevanza della difesa territoriale in un contesto di declino delle guerre tradizionali inter-statali in favore delle cd. “nuove guerre”1

Concetto che fu per la prima volta menzionato dal primo Concetto Strategico della NATO (nel 1991 al paragrafo 46) e successivamente ripreso dall’UEO nella sua Petersberg Task Declaration del 1992, che venne successivamente assorbita dall’Unione Europea con il Trattato di Amsterdam. La compresenza delle due esigenze che si venne a creare in quel momento, l’autonomia europea2 e il rafforzamento della NATO, pose le basi per una cooperazione e rafforzamento reciproco tra le due organizzazioni e, allo stesso tempo, aprì un terreno di competizione e scontro, in seguito alle crescenti esigenze dell’Unione Europea di autonomia, generate da una nuova responsabilità di quest’ultima sulla scena internazionale, come riconosciuta dal Trattato di Maastricht.

Soltanto a partire dai primi anni Novanta, a causa dell’impreparazione europea nel conflitto in Bosnia costringendo Bill Clinton ad intervenire con la NATO, che i Paesi europei iniziarono ad affrontare il tema dello sviluppo di adeguate capacità militari che permettessero all’Organizzazione di assumere responsabilità nei nuovi compiti di gestione delle crisi; definiti in occasione del meeting di Petersberg. Difatti, la crisi in Bosnia agevolò la convergenza degli interessi tra le due sponde dell’Atlantico sulla costruzione di una specifica European Security and Defence Identity (ESDI) all’interno della NATO che permettesse all’Unione Europea, attraverso l’UEO, di agire indipendentemente ma avvalendosi degli assetti e delle capacità dell’Alleanza atlantica per missioni “where NATO as a whole is not engaged”. Il sistema, istituito dai summit del NAC del gennaio 1994 e del giugno 1996, avrebbe permesso all’Unione di prendere a prestito dagli Stati Uniti gli assetti necessari e di costruire unità europee all’interno della NATO, “separabili ma non separate” da essa, le cd. European Combined Joint Task Force (CJTFs)3.  Dunque, essa, quale seconda maggiore iniziativa statunitense del 1993, permetteva l’uso delle risorse della NATO nelle operazioni out-of-area, senza cambiare il Trattato di Washington4.

Si trattava di procedure che faranno parte dei cd. Accordi “Berlin plus”, un esauriente pacchetto di accordi tra le due organizzazioni formalizzato nel marzo 2003, ideate per consentire dall’Unione di colmare il divario prendendo in prestito le risorse necessarie, quali capacità strategiche, C4I (comando, controllo, comunicazioni, computer e intelligence) e logistiche dagli Stati Uniti5. Esse sarebbero state comandate tramite la soluzione del “doppio cappello”: di norma sottoposte ad un comando multinazionale alleato, passate poi, quando rese disponibili all’UEO, sotto il controllo politico e strategico di quest’ultima, da realizzare tramite l’istituzione della figura del Deputy Supreme Allied Commander Europe (DSACEUR), posizione assunta sempre da un Generale europeo. Tale strumento di cooperazione assecondava le esigenze avvertite da Washington di un maggiore burden-sharing con gli alleati europei, accomodando le crescenti richieste di autonomia di questi ultimi e al tempo stesso, assicurando il primato e il rafforzamento della NATO, ritenuti da più parti necessari per evitare il rischio di abbandono del continente europeo da parte da Washington6.

Sebbene fosse stata concessa l’autonomia agli Europei, essa tuttavia, era piuttosto limitata, dato che spettava sempre l’ultima parola agli alleati statunitensi decidere quali missioni i primi avrebbero dovuto svolgere. Oltretutto, considerata la centralità degli assetti statunitensi nell’operatività della NATO, la soluzione delle strutture “separabili ma non separate” avrebbe permesso a Washington di mantenere il controllo operativo sullo svolgimento delle missioni militari e dunque, esercitare un diritto di richiamo verso le risorse messe a disposizione dell’UEO7. Pertanto, l’ESDI non poteva che rappresentare una tappa intermedia nell’evoluzione della cooperazione militare UE-NATO, rivelandosi ben presto, uno strumento insoddisfacente per gli Europei per tre motivi: primo, l’US Army si dimostrò molto meno entusiasta dei politici a prestare i suoi “sudati” asset di alta tecnologia agli Europei poco pronti e poco preparati con poca esperienza nel campo; secondo, la proposta che le forze dell’Unione siano “doppio cappello”, disponibili sia al comando NATO/Statunitense o a un ipotetico comando europeo, causava turbamento all’interno degli ufficiali dell’arma; terzo, le proposte Berlin plus furono dichiarate durante la riforma della struttura di comando della NATO, con l’obiettivo di dare più posti di comando agli ufficiali europei. Di conseguenza, la riluttanza del governo statunitense a conferire agli ufficiali europei il comando, della sede centrale meridionale della NATO (AFSouth) a Napoli, affondava quell’Accordo8.

La guerra civile in Kosovo rappresentò un’ulteriore cesura nella storia delle relazioni UE-NATO. Ancora una volta, l’arretratezza degli strumenti militari impedì all’Unione Europea qualsiasi azione militare e dunque, l’intervento per porre fine al genocidio perpetrato da Milosevic fu delegato alla NATO. Ciò portò di nuovo alla ribalta il tema dell’autonomia/responsabilità dell’Unione. L’Operazione Allied Force in Kosovo, seppur di successo, produsse gravi effetti collaterali per la stessa NATO.  A causa dei limiti europei, l’intervento fu domato dagli Stati Uniti, che si trovarono a intraprendere una “war by committee” e a subire al contempo, critiche sistematiche e vincoli in sede Atlantica circa gli obiettivi dei bombardamenti e le modalità di intervento.

Un’esperienza irritante che Washington si disse indisponibile a ripetere e che aveva svuotato ai suoi occhi l’Organizzazione di gran parte del suo valore aggiunto9. Difatti, gli Usa consideravano, quale conditio sine qua non, una maggiore European security self-reliance ai fini della continuazione della cooperazione. In tale prospettiva, Tony Blair si convinse a perseguire, trovando convergenza con Chirac, quella che sarà definita “Politica di Sicurezza e di Difesa Comune”, di cui gli Stati Uniti sostennero l’iniziativa, fatta salva la clausola del “NATO first”, che si articolava nelle “3D” del Segretario di Stato Madeleine Albright, ossia no decoupling, no duplication, no discrimination10: non “sganciare” il decision-making europeo da quello dell’Alleanza; non duplicare le risorse e gli assetti già esistenti nell’Alleanza, in modo da evitare sprechi e competizione con gli Stati Uniti in tema di military hardware e industria militare; non discriminare i membri della NATO non membri dell’UE, in particolare Turchia e Norvegia, che pur associati all’UEO si sarebbero potuti trovare esclusi dalle discussioni sulla sicurezza europea11.

Così, l’Unione Europea diede avvio alla strada inaugurata a Saint-Malò, passando per il lancio dell’European Rapid Reaction, con l’adozione degli Helsinki Headline Goals, un corpo di 60.000 uomini per operazioni di crisis management, passando per l’istituzione della PESD, del Comitato Politico e di Sicurezza, il Comitato Militare e infine, uno Stato Maggiore dell’Unione Europea. Il tutto avvenne con rapidità e determinazione che suscitò preoccupazione a Washington, che manifestò con due risoluzioni della Camera dei Rappresentanti (2 novembre 1999) e del Senato (8 novembre dello stesso anno) l’accettazione della PESD finché non rappresentasse una minaccia per l’Alleanza atlantica e garantisse capacità militari e risorse utili ad essa12. Tuttavia, la missione in Kosovo inaugurò una stagione di difficoltà per la NATO, il cui sostegno era in declino sia da parte dell’Unione, che era in cerca di autonomia, sia da parte degli Stati Uniti di George W. Bush, il quale rifiutò l’utilizzo dell’Organizzazione all’indomani degli attentati dell’11 settembre, preferendole una coalition of the willing13. La NATO dunque, maturò tutto l’interesse a sviluppare un rapporto strutturato con l’UE, in rafforzamento sul piano della difesa, con forti pressioni provenienti dagli USA. Dall’altro lato, anche l’Unione non poteva che condividere tale interesse fino a che fosse rimasta legata, se non dipendente (basti pensare che ad oggi gli USA coprono circa il 70% delle spese per la difesa totale), alla NATO; rivisitando il rapporto che le lega.

Difatti, nell’accordo, ratificato il 24 gennaio 2001 dal Segretario Generale della NATO Javier Solana, il Presidente della Commissione Europea Jacques Santer e il Commissario per e Relazioni Esterne Hans van del Broeck, si stabilì che le due Organizzazioni dovessero incontrarsi almeno tre volte all’anno a livello di ambasciatori NAC-COPS, e almeno una volta all’anno a livello ministeriale. Dinamiche che si rivelarono funzionali alla rivisitazione degli accordi di Berlino e Bruxelles14. Per ben quattro anni, dal 1999 al 2003, durò un dibattito sugli effetti sullo sviluppo della PESD derivati dalla cooperazione istituzionalizzata con la NATO, in particolare gli impedimenti da parte di quest’ultima in tale processo, suscitando dibattiti e polemiche. Il primo tema fu il cosiddetto “right of first refusal”, ovvero il diritto della NATO (e dunque degli USA) di decidere quando e se l’UE potesse intervenire militarmente, avvalendosi o meno degli assetti dell’Alleanza. Nel caso dell’ESDI e delle relazioni UEO-NATO, esso era automaticamente riconosciuto, e la Communiqué del Summit NATO di Washington del 1999 richiamò tale circostanza per affermare il caso non dissimile della PESD.

Ma le Conclusioni della Presidenza del Consiglio Europeo di Colonia (3-4 giugno 1999) si espressero in modo diverso, sostituendo l’espressione “where the NATO as a whole is not engaged” con quella “without prejudice to actions by NATO”, e negando di fatto la primazia della NATO. Oltretutto, la decisione se avvalersi o meno dell’asset NATO sarebbe spettata solo ed esclusivamente all’UE, contrariamente quanto affermato nel documento di Washington15. Soltanto dopo molteplici pressioni statunitensi, il Rapporto della Presidenza del Consiglio Europeo di Helsinki del dicembre 1999 ristabilì un equilibrio più favorevole a Washington, affermando la determinazione a sviluppare la capacità di prendere decisioni autonome e, laddove la NATO nel suo complesso non fosse impegnata, lanciare missioni militari UE in risposta a crisi internazionali, senza che ciò implicasse la costituzione di un esercito europeo16.

Il secondo tema che impegnò commentatori e diplomatici fu quello della discriminazione, cioè dell’esigenza, molto avvertita dagli USA, di assicurare il coinvolgimento dei membri della NATO non membri dell’UE nei processi decisionali PESD. Il dibattito interno all’UE contrappose il fronte degli Atlantisti a quello degli Europeisti. Mentre i primi ritenevano che si dovessero instaurare legami stabili di cooperazione e consultazione tra i 15 paesi UE in sede COPS e i 6 paesi NATO non membri UE (Norvegia, Turchia, Islanda, Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca) (scenario 15 + 6), i secondi vedevano piuttosto la necessità di cooperare con i 13 paesi candidati all’adesione all’UE insieme a Islanda e Norvegia (soluzione 15+15). Il Consiglio europeo di Santa Maria da Feira del giugno 2000 decise una soluzione di compromesso, che prevedeva l’istituzionalizzazione della formula 15+15, ma anche meeting speciali 15+6 su “la natura e il funzionamento delle operazioni dirette dall’UE che si avvalgono di mezzi e di capacità della NATO”17. La Turchia trovò tale soluzione insoddisfacente, e il contestuale rifiuto UE di ammetterla direttamente alle riunioni del COPS provocò il veto turco alla conclusione del processo. Ankara riuscì così ad ottenere una serie di concessioni, tra cui il coinvolgimento più pieno possibile nel decision-making process dell’UE in materia di sicurezza e difesa, l’esclusione di Cipro (insieme a Malta) da qualsiasi operazione PESD e di qualsiasi missione PESD nel mar Egeo18.

Il compromesso portò alla Dichiarazione congiunta UE-NATO sulla PESD del 16 dicembre, che annunciò l’istituzione di una “partnership strategica” nel campo della gestione dei conflitti e aprì la strada alla conclusione, il 17 marzo 2003, di una serie di documenti non giuridici, quasi tutti classificati e dunque non pubblici, che regolano ancora oggi l’accesso dell’UE agli assetti della NATO, noti come “Accordi Berlin Plus” in revisione dell’accordo di Berlino UEO-NATO del 1996. Nella Dichiarazione le due organizzazioni riconobbero di essere dotate di diversa natura, ma di poter sviluppare una relazione reciprocamente vantaggiosa basata sui principi di “effective mutual consultation, dialogue, cooperation and transparency”, nonché di “equality and due ragard for the decision-making autonomy and interests of the EU and NATO”. Soprattutto, l’UE avrebbe potuto fare affidamento sull’accesso alle capacità di pianificazione NATO, che erano sempre state la base per ogni credibile azione militare UE19.

Il sostegno politico per una maggiore collaborazione istituzionale, manifestato alla fine degli anni Novanta e nei primi anni Duemila, è stato limitato dal cd. “problema di partecipazione” dopo che Cipro ha aderito all’Unione Europea nel 2004. Ciò ha importato l’irrisolta disputa sullo status di Cipro del Nord nelle relazioni UE-NATO. Da allora, data la necessità del consenso nel processo decisionale, l’accesso dell’Unione alle risorse e capacitàdella NATO com’era stato concordato nel 2002, è diventato quasi impossibile. Ciò avrebbe avuto ripercussioni anche sullo scambio di informazioni tra le due istituzioni: dal 2004 la collaborazione diplomatica formale a livello di ambasciatori del NAC e del Comitato Politico e di Sicurezza dell’Unione Europea (PSC) possono solo occuparsi di questioni antecedenti l’accesso di Cipro nell’Unione, finché la controversia non sarebbe stata risolta in modo completo20. Un’ulteriore divisione concerne i membri delle due istituzioni, considerato che entrambe condividono 22 Stati membri (tralasciando la questione dell’ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO), l’accesso alle informazioni riservate per i Paesi che non facciano parte dell’UE o della NATO è disciplinato dai rispettivi accordi nazionali. Per superare tali ostacoli, esistono soluzioni ad hoc: riunioni regolari informali NAC-PSC per affrontare un’ampia gamma di questioni e inviti reciproci alle riunioni ministeriali pertinenti sono diventate prassi consolidate. Allo stesso modo, avviene la cooperazione informale nelle operazioni dell’Unione e della NATO nei Paesi partner. Ciò dimostra quella più stretta integrazione tra NATO e Unione Europea, che è considerata necessaria e desiderabile dai loro membri ed è per tale motivo che la Joint Declaration era da tempo attesa.

In uno scenario ideale, essa costituirebbe il punto di partenza per una genuina collaborazione strategica tra le due Organizzazioni e non solo cooperazione. Essa comincerebbe a fornire una vera politica, sinergie diplomatiche e di sicurezza al posto dell’attuale concorrenza istituzionale latente e gli alti costi di transazione nel fare affari tra loro. Una progettazione integrata a livello politico e operativo potrebbe offrire divisioni produttive del lavoro e l’uso di capacità, che rafforzerebbero la coesione e collaborazione, non soltanto la cooperazione. In tale contesto, i problemi politici e le incertezze sbarrano la strada. Tuttavia la Dichiarazione Congiunta fornirebbe passo dopo passo un approccio per stabilire una più stretta cooperazione pratica di valore reale21. Essa, firmata a luglio 2016, si focalizza su sette aree nelle quali le relazioni tra le due istituzioni dovrebbe migliorare: minacce ibride, cooperazione professionale, cyber security and defence, capacità di difesa, industria di difesa e ricerca, esercitazioni e infine, rafforzamento delle capacità di difesa e sicurezza22.

La Dichiarazione include l’impegno a coinvolgere gli Stati membri mentre le istituzioni a lavorare secondo priorità concordate. Inoltre integra esplicitamente gli incontri formali e informali del NAC e del PSC nel processo. Un’implementazione informale a tre livelli, un meccanismo da personale e personale istituito con la partecipazione del Servizio di Azione Esterna Europeo (SAEE), la Commissione Europea, l’Agenzia di Difesa Europea e la NATO, comprendendo: 1) funzionari designati, incaricati dell’implementazione delle azioni in tutte le entità interessate; 2) un “gruppo centrale” per garantire una visione orizzontale, orientamento e coordinamento operativo; 3) un “gruppo direttivo” a livello principale per fornire strategica e una guida politica. L’attuazione sarebbe stata esaminata per la prima volta a metà 2017 e successivamente, ogni due anni.

Per l’Unione Europea, la Dichiarazione Congiunta è inquadrata come parte vitale del miglioramento della difesa europea, insieme a una maggiore cooperazione e integrazione in materia di difesa all’interno dell’Unione stessa. È anche parte del pacchetto delle riforme istituzionali delle strutture di sicurezza europee, avviato con la Strategia di Sicurezza Globale dell’Unione nel giugno 2016. Per la NATO, invece, la cooperazione istituzionale è inquadrata come importante elemento nello sviluppo di un “Approccio Completo” internazionale nella gestione delle crisi e nelle operazioni, che richiede applicazione effettiva sia di mezzi civili sia militari23. Anche nell’ultimo Concetto Strategico della NATO, adottato il 29 giugno 2022 durante summit di Madrid, riprende al punto 46, viene ripreso il tema della sicurezza e difesa. In particolare, viene descritto il rapporto che lega l’Alleanza atlantica e l’Unione Europea come “unico ed essenziale”, due attori che “giocano in modo complementare, coerente e ruoli che si rafforzano a vicenda nel sostenere la pace e la sicurezza internazionale. Oltre a ciò, la NATO riconosce il valore di una difesa europea più forte e capace di contribuire attivamente alla sicurezza transatlantica e globale, quale complementare e interoperabile con la NATO24.

Rita Granata per la Rivista Osservatorio Istituzionale-Centro Studi d’Europa, identificata dall’ISSN 2785-2695 e iscritta nel registro dei periodici con Decreto del Tribunale di Roma n.44 del 29 marzo 2022.

1)Versione italiana (a cura di) Giovanni Finizio, “Cooperazione o competizione? La cooperazione tra Unione Europea e NATO”, Cooperação ou Competição? As Relaçãoes entre a União Europeia e a OTAN/NATO, in G. Pagliari (org.) Cooperacao Interagencia e Defesa. Recife: Ed. Universitaria UFPE 2014 (forth.), p.3 ss.

2) Manifestata dall’allora Presidente del Consiglio dell’UE e Ministro degli Esteri del Lussemburgo Jacques Poos, secondo il quale “it is the hour of Europe, not of America”.

3) Giovanni Finizio, ibidem.

4) Tom Lansfors, “The Triumph of transataltnicism: NATO and the Evolution of European Security after the Cold War”, p.15 ss.

5) Jolyon Howorth, “Security and Defence Policy in the European Union”, Palgrave, Basingstoke 2007, p.99 ss.

6) Paul Cornish, “Partnership in Crisis. The US, Europe and the Fall and Rise of NATO”, Royal Institute of International Affairs, London 1997, p.66 ss.

7) Giovanni Finizio, op. cit.

8) Jolyon Howorth, op. cit.

9) Haine J.-Y., “ESDP and NATO”, in N. Gnesotto (ed.) EU Security and Defence Policy. The First Five Years (1999-2004). EU Institute for Security Studies, Paris 2004, p.133 ss.

10) Madeleine Albright, “The Right Balance Will Secure NATO’s Future”, Financial Times, 7 December 1998.

11) Giovanni Finizio, op.cit.

12) US Senate, House Resolution 59, November 2, 1999; US Senate Resolution 208, November 8, 1999.

13) Giovanni Finizio, op. cit.

14) Ibidem.

15) Giovanni Finizio, op. cit.

16) Presidency Conclusions, Helsinki European Council, 10-11 December 1999, par.27.

17) Presidency Conclusions, Santa Maria de Feira European Council, 19-20 June 2000, Appendix 1.

18) Giovanni Finizio, op. cit.

19) Ibidem.

20) Julia Himmrich e Denitsa Raynova, “EU-NATO Relations: Inching forward?”, European Leadership Network, 2017, p.3 ss.

21) Julia Himmrich e Denitsa Raynova, op. cit.

22) Ibidem.

23) Ibidem.

24) NATO 2022 Strategic Concept, 29 June 2022.