La politica estera europea nella delicata regione del Sahel

Nell’ultimo decennio le potenze europee sono arrivate a percepire il deterioramento della situazione

della sicurezza internazionale nella regione del Sahel come una minaccia. Visto dall’Europa, il

Sahel, geograficamente inteso come l’area semi-arida che si estende in Africa dalla costa Atlantica

della Mauritania meridionale e del Senegal settentrionale attraverso il nord del Mali e del Niger, la

Libia meridionale e parti del Ciad, è arrivato a rappresentare una fonte di preoccupazioni per la

Sicurezza, specie per due motivi.

In primo luogo, c’è la rapida diffusione dei gruppi jihadisti nella regione che, oltre a combattere per

distruggere i governi statali, considerano anche le potenze europee come loro nemici.

In secondo luogo, vi è la crescente pressione della migrazione transfrontaliera da e attraverso la regione del Sahel verso l’Europa.

Affrontare il jihadismo e la migrazione come problemi di sicurezza europei rischia di distorcere il

quadro di ciò che sta accadendo nel terreno del Sahel. Numerose ricerche hanno dimostrato come

i jihadisti prendano di mira soprattutto i rappresentanti degli stati e delle società all’interno della

regione del Sahel stesso. Tuttavia, in parte a causa delle sue politiche di intervento militare in Libia

e Mali, l’Europa è diventata anche un obbiettivo e una destinazione per questi attori non statali.

La storia della politica estera dell’Unione Europea è stata caratterizzata da un continuo sviluppo e

un continuo processo di adattamento alle realtà sul terreno e alle esperienze acquisite. Ciò si è

manifestato nel graduale passaggio da relazioni bilaterali a strutture regionali e multilaterali, dal

commercio attraverso relazioni strutturate a tre pilastri all’approccio integrato della Strategia

Globale dell’UE, e alla sua istituzionalizzazione. Non a caso il documento riportante la Strategia

Globale dell’UE afferma che “la sicurezza interna ed esterna sono sempre più intrecciate: la nostra

sicurezza interna comporta un interesse parallelo per la pace nelle regioni vicine e circostanti.

Implica un interesse più ampio nel prevenire i conflitti, promuovere la sicurezza umana, affrontare

le cause profonde dell’instabilità e lavorare per un mondo più sicuro”.1

La fine della guerra fredda diede un nuovo impulso al regionalismo: l’UE creò una nuova regione

nel suo diretto vicinato meridionale, lo spazio euromediterraneo, che divenne la base della nuova

cooperazione istituzionalizzata, il partenariato euromediterraneo (PEM). La sua struttura a tre

pilastri mirava ad affrontare in modo completo le questioni politiche e di sicurezza economiche,

finanziarie, sociali e culturali. La politica europea di vicinato (PEV) ha fatto un ulteriore passo

quando ha introdotto la correlazione tra i tre pilastri e ha aggiunto una nuova regione, il vicinato

orientale della PEV, mentre l’Unione per il Mediterraneo ha aggiunto altri partecipanti ed un nuovo

“pilastro” costituito da sei progetti prioritari (sviluppo delle imprese e occupazione, istruzione

superiore e ricerca, affari sociali e civili, energia e azione per il clima, trasporti e sviluppo, acqua,

ambiente e energia blu).2

Il nuovo “approccio integrato” della Strategia Globale, mentre stabilisce una correlazione ancora

più forte tra i tre pilastri, riconosce il riemergere della sicurezza dura (conflitti e crisi) a scapito

delle relazioni economiche finanziarie, così come quelle sociali e culturali. Questo nuovo approccio

si riflette nella strategia dell’UE (SEAE) per il Sahel e nel correlato piano di azione regionale.

Il primo ha dimostrato un approccio più mirato verso una certa regione non direttamente confinante

con l’UE. Sebbene il Sahel non fosse parte della politica di vicinato dell’UE, il documento guardava

al Sahel in un quadro molto più ampio e si rendeva conto della sua interconnessione con altre

regioni, come il Maghreb e l’Africa Subsahariana. Il documento afferma come le sfide presenti nel

Sahel “hanno un impatto sui paesi vicini, tra cui Algeria, Libia, Marocco e anche Nigeria, il cui

impegno è necessario per contribuire a risolverli”.3

Il piano regionale del Sahel è andato oltre sottolineando “il nesso tra sviluppo-sicurezza e i quattro

pilastri per la sua attuazione” e ha proposto di “esplorare ulteriormente uno spazio comune di

dialogo e cooperazione tra il Sahel, il Maghreb e l’UE in settori come la sicurezza e la migrazione”.

Le conseguenze delle primavere arabe hanno non solo dimostrato le strette relazioni tra le due

regioni, ma anche il fatto che le minacce e le sfide, tra cui il terrorismo, il crimine organizzato, il

contrabbando di esseri umani e la migrazione irregolare danno luogo a diverse crisi tra di loro

interdipendenti. Ad esempio, è emblematico il caso del Mali, dove dopo la guerra civile libica sono

tornate molte milizie Tuareg Idnan addestratesi durante il conflitto libico a fianco dell’ex-dittatore

Gheddafi.

La strategia per il Sahel del 2011 dell’UE ha costituito il primo sforzo per trovare una visione

condivisa tra gli stati membri dell’UE nell’approccio alla regione. Essa specifica quattro temi

chiave: (1) sicurezza e sviluppo, sottolineando come la sicurezza sia parte integrante della crescita

delle economie saheliane (2) stretta cooperazione regionale nel Sahel e conferisce all’UE un

potenziale ruolo di sostegno (3) chiede il rafforzamento delle capacità e la fornitura di sicurezza e

cooperazione allo sviluppo (4) indica un ruolo importante per l’UE nell’incoraggiare lo sviluppo

economico e raggiungere un ambiente più sicuro.4 La strategia si basa quindi sulla narrativa relativa

alla sicurezza e cooperazione allo sviluppo che dovrebbe essere sostenuta da sforzi combinati,

ponendo un accento specifico sulla sicurezza come prerequisito per lo sviluppo.

I decisori dell’UE hanno sempre più collegato la sicurezza nel Sahel con le politiche di sviluppo,

soprattutto in seguito alla crescita dei rapimenti dei cittadini da parte di gruppi estremisti. Ad

esempio in una riunione del Consiglio Europeo dell’UE del 2011 si è affermato che le minacce alla

sicurezza “mettono in pericolo le attività di cooperazione allo sviluppo europee e internazionali”.

L’importanza del nesso sicurezza e sviluppo nella politica dell’UE per il Sahel è visibile anche a

livello di attuazione. In seguito all’adozione della strategia per il Sahel nel 2011, l’UE ha

configurato diverse attività per affrontare la volatilità della situazione della regione. Una delle

principali iniziative è stata il progetto Contre Terrorism Sahel Intervention (ct Sahrel) lanciato nel

2011 e in corso fino al 2016, finanziato attraverso lo strumento di stabilità dell’UE (IFS). Il progetto

mirava a sostenere le capacità nazionali di antiterrorismo e comprendeva l’istituzione di un Collegio

Saheliano di sicurezza nel 2012 come componente di sicurezza regionale, a cui hanno partecipato

Mali, Burkina Faso e Niger. Secondo diversi funzionari dell’UE il progetto ha una sua valenza

perché ha rappresentato il primo vero passo di cooperazione regionale fornendo le basi per la

creazione del G5 Sahel due anni dopo.

Un altro passo importante è stato il dispiegamento dell’operazione EUCAP Sahel Niger nell’agosto

2012. Come missione civile, quest’ultima ha avuto il compito di addestrare, consigliare ed

equipaggiare le forze di sicurezza interne e la loro capacità di gestione delle frontiere, dei flussi

migratori internazionali e della lotta al terrorismo.

La narrativa di sicurezza sul nesso sicurezza-sviluppo è stata ulteriormente rafforzata dopo la “crisi

dei rifugiati” del 2015, in quanto i decisori politici europei si sono concentrati principalmente sugli

stati del Sahel come paese di origine e di transito della migrazione.

Per esempio, il Piano di Azione regionale per il Sahel presta maggiore attenzione alle sinergie tra

“migrazione e sviluppo”. Il documento mira esplicitamente a rafforzare il “nesso tra migrazione-

sviluppo e la migrazione principale nell’azione collettiva dell’UE e degli stati membri”

aggiungendo quindi la sicurezza a questo nesso e facendo riferimento alla gestione transfrontaliera

come un importante requisito per una riduzione delle minacce di sicurezza. Il nesso sicurezza-

sviluppo-migrazione si è tradotto molto rapidamente in azioni concrete. I compiti legati alla

migrazione hanno acquisito una rilevanza nel 2015/2016, spostando gli obbiettivi legati alla politica

migratoria sempre più nel mandato delle missioni civili del Csdp dell’Eucapo Sahel Niger,

aggiungendo alla sua gamma di responsabilità il sostegno alle autorità nigeriane “nella prevenzione

dell’immigrazione irregolare e dei crimini associati”.5

Il discorso sulla sicurezza si è ampliata negli ultimi anni ad una terza fase, verso una maggiore

attenzione per le misure hard di sicurezza. Già nel 2013, c’era scetticismo all’interno dell’UE su un

mandato per EUTM Mali che avrebbe permesso l’addestramento in battaglia. Inizialmente, la

missione doveva impegnarsi attivamente nell’addestramento delle forze nella zona di

combattimento, e gli esperti avevano previsto di aprire una struttura di formazione nella città

settentrionale di Gao. Con diversi stati membri dell’UE, in particolare la Germania, scettici su

questo approccio, l’EUTM ha limitato le sue azioni ad aree lontane dalle sue zone di

combattimento. Quindi l’EUTM ha condotto il suo addestramento a Koulikoro, una città a sud del

Mali a sessanta chilometri dalla capitale Bamako.

Il dibattitto sul sostegno all’hardware militare per le missioni di addestramento ha guadagnato

importanza all’interno dell’UE dal 2015, in particolare perché EUTM Mali non ha fornito

sufficienti attrezzature letali ai soldati addestrati. Ciò si è riflesso nella retorica dei principali

decisori dell’UE. L’alto rappresentante Borrel ha ripetuto quanto fosse necessario per l’UE

intensificare il suo impegno militare nel Sahel affermando alla riunione del Collegio dei

Commissari UE-UA nel febbraio del 2020: “Abbiamo bisogno di armi, di pistole, di capacità

militare e questo che contribuiremo a fornire ai nostri amici africani, perché la loro sicurezza è la

nostra sicurezza”.

Questi presupposti hanno avuto anche una loro realizzazione concreta dal punto di vista finanziario

creando nuovi strumenti economici per finanziare le missioni militari. Nel 2021 è stato formalizzato

il Fondo europeo per la Pace (EPF) che comprende la possibilità, tra l’altro, di finanziarie

attrezzatture militari per le forze armate dei paesi partner. I decisori politici dell’UE hanno chiarito

che l’EPF sarebbe lo strumento principale per fornire alle forze di sicurezza saheliane un aumento

della loro capacità di combattimento.

Una seconda agenda che l’UE sta perseguendo nella sua politica del Sahel è un approccio di

regionalizzazione. Inizialmente, la Strategia Ue per il Sahel del 2011 ha identificato l’assenza di un

organizzazione che comprenda tutti gli stati del Sahel e del Maghreb e che porti a un’azione

coordinata. Già dall’inizio degli anni Dieci, diversi ministri degli esteri europei, tra cui quello

tedesco Westerwelle, hanno chiesto una risposta africana alla crisi e il presidente francese Hollande

ha fatto riferimento agli sforzi compiuti insieme ai partner africani come l’ECOWAS. Tuttavia,

l’incapacità dell’ECOWAS di stabilizzare efficacemente il Mali è culminata in un prematuro

trasferimento della questione alle Nazioni Unite, lasciando un vuoto di potere regionale che ha

creato le condizioni alla forza africana del G5 sahel.

I documenti chiave della politica estera dell’UE forniscono ampie prove di un cambiamento nella

narrativa da “soluzioni africane per problemi africani” a “soluzioni saheliane per problemi

saheliani”, mettendo gli stati membri del G5 Sahel al posto di guida degli sforzi regionali. L’UE ha

dimostrato il suo riconoscimento e la sua approvazione del G5 Sahel come legittima organizzazione

regionale che rappresenta i cinque paesi del Sahel attraverso la sua interazione con l’organizzazione

e in particolare con le sue istituzioni come con il Consiglio dei ministri del G5 Sahel. All’inizio del

2020, l’UE ha sottolineato il suo impegno diplomatico a sostegno del G5 Sahel, quale attore più

rilevante per affrontare le sfide dello sviluppo della sicurezza nel Sahel, partecipando alla creazione

della Coalizione per il Sahel, annunciata il 13 gennaio 2020 al vertice di Pau dei capi di stato della

Francia e dei vertici del G5 Sahel insieme al Segretario delle Nazioni Unite, al presidente del

Consiglio Europeo, all’altro rappresentante dell’UE e al presidente della Commissione dell’Unione

Africana, incanalando anche il sostegno della comunità internazionale al G5 Sahel. Attraverso il

partenariato per la sicurezza e la stabilità nel Sahel (PS3) l’UE sostiene il programma di

investimenti prioritari (PIP) del G5 Sahel, che è il principale veicolo dell’organizzazione per attuare

la strategia di sviluppo e sicurezza del 2016, in quattro aree prioritarie: difesa e sicurezza,

governance, resilienza e sviluppo umano e infrastrutture.5

L’UE ha incanalato cento milioni di euro attraverso il Fondo per la pace in Africa per il sostegno

diretto della Joint Force del G5 Sahel. L’operatività della Joint Force in termini di creazione di una

forza di 5.000 truppe e agenti di polizia è stata annunciata dai capi del G5 Sahel durante il vertice di

febbraio del 2017. La JF del G5 Sahel aveva il mandato di combattere i gruppi terroristici, la

criminalità organizzata transfrontaliera e il traffico di esseri umani. Il contributo economico dell’UE

ha sottolineato l’importanza che quest’ultima attribuisce agli sforzi del G5Sahel.

Infine, la materializzazione di “soluzioni saheliane per problemi saheliani” è osservabile nella

regionalizzazione delle missioni dell’UE come mezzo aggiuntivo per sostenere la forza congiunta

del G5Sahel. Sulla base di una decisone del Consiglio, l’UE ha istituito una cellula di

coordinamento regionale (RCC) sotto l’autorità dello Staff militare dell’UE (EUMS).

L’attuale programmazione dell’UE nel Sahel è un’illustrazione di una tendenza in cui l’UE cerca

sempre più di affrontare le minacce di sicurezza immediate piuttosto che concentrarsi su soluzioni a

lungo termine come la costruzione dello stato di sviluppo, la cui chiave è la costruzione della

capacità amministrativa attraverso una vasta rete di attori locali. Si tratta di una tendenza in cui

l’Unione mostra tendenza più realiste che normative, ponendo la priorità sulle preoccupazioni

immediate della sicurezza europea. Ovvero, mentre la programmazione dello sviluppo e l’assistenza

umanitaria continuano, ciò che inquadra la relazione UE-Sahel in termini politici è un’agenda di

sicurezza molto più ristretta.

Questo ha conseguenze per l’UE e per i paesi del Sahel che si confrontano con una UE che, in

misura maggiore che in passato, sta spingendo verso una nuova architettura di gestione delle

migrazioni come questione principale del suo rapporto con gli stati del Sahel. Questo processo

potrebbe avere anche delle implicazioni sui deboli stati e amministrativamente fragili della regione.

Un caso emblematico è quello del Niger, dove nella città di Agadez le popolazioni locali si sono

arricchite con il business della “migrazione” fornendo un reddito extra alle popolazioni locali ma

anche agli affaristi che ruotavano introno a così detto “hub”, che altro non erano che dei ghetti.

La nuova legge che l’UE ha fatto passare contro il traffico illegale di migranti non ha fatto altro che

indebolire l’economia della regione. Inoltre, come già sul contributo che si focalizza sugli stati del Sahel, alcuni gruppi minoritari sono stati presi di mira rispetto ad altri.

La questione del controllo delle frontiere e della migrazione non è una novità nell’agenda dell’UE.

Ciò che è nuovo è il modo in cui è arrivata a determinare anche un’altra serie di politiche. L’UE sta

cercando di realizzare un intervento negli stati fragili del Sahel, come il Niger, in cui un hub di

transito-migranti come Agadez viene trasformato in un posto di frontiera dall’Europa. L’UE,

paradossalmente è come se stesse costruendo “muri” meno visibili nel Sahel lavorando con i

governi locali. Se nel breve termine questa strategia ha avuto successo, se per successo intendiamo

il numero di migranti giunti nelle coste europee, questo cosiddetto “successo” a lungo termine

diventa insostenibile.

La ragione principale è che l’UE sta cercando di trovare un equilibrio tra le strette preoccupazioni di

sicurezza e una più ampia agenda di sviluppo in cui la sicurezza militare è solo una parte di una più

ampia equazione. Da un punto di vista teorico, l’UE è consapevole che gli stati africani hanno

bisogno di stabilità, trasparenza e istituzioni legittime che possano estrarre risorse da tasse, tariffe e

imposte per fornire sviluppo economico e servizi e rendere loro paesi più resistenti al cambiamento

climatico ma, allo stesso tempo, è consapevole che le sue politiche, in un ambiente fragile come

quello del Sahel, dovrebbero essere sensibili al contesto e ai conflitti.

La grande sfida per l’UE è come raggiungere questo obbiettivo in società frammentate e inclini al

conflitto, dove l’idea stessa di stato si è erosa, e avviene in una situazione in cui l’agenda della

diligence del “non nuocere” entra rapidamente in conflitto con altri interessi principali dei regimi

dell’Europa, ovvero ridurre il più possibile la migrazione verso nord prima che questi migranti raggiungano le coste del Mediterraneo. Portando il discorso in termini di politica estera dell’UE, troviamo una narrazione che si concentra fortemente sulla fornitura di sicurezza come precondizione per lo sviluppo. La seconda narrativa si concentra su soluzioni regionali per le sfide di sicurezza che, come detto, si esprime nel concetto di “soluzioni saheliane per i problemi saheliani”.

Gli effetti sono stati quelli di trovarsi in una spirale che “obbligava” ad una continua intensificazione degli impegni UE nella regione che hanno portato a una situazione di intrappolamento in politica estera e senza alternative e che probabilmente porterà a un ulteriore aumento delle attività dell’Ue nel Sahel nel prossimo futuro.6

L’autore Matteo Mauro garantisce l’autenticità del contributo, fatti salvi i riferimenti agli scritti redatti da terzi. Gli stessi sono riportati nei limiti di quanto consentito dalla legge sul diritto d’autore e vengono elencati di seguito. Ai sensi della normativa ISO 3297:2017, la pubblicazione si identifica con l’International Standard Serial Number 2785-2695 assegnato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche.

1)A GLOBAL STRATEGY FOR THE EUROPEAN UNION’S FOREIGN AND SECURITY POLICY, 2019.

2)Marsai Viktor, Rozsa Erzésebet, FROM A FRAGMENTED COOPERATION TO AN INTEGRATED APPROACH – THE EMERGENCE OF THE MAGHREB AND SAHEL REGION AND ITS CONSEQUENCES FOR THE EUROPEAN UNION, EuroMeSCo paper, 2020.

3)Sillano Pietro, “FLUSSI MIGRATORI DAI PAESI DEL SAHEL: CONTESTUALIZZAZIONE DEL FENOMENO E INTERVENTI UE.”, 2022.

4)THE EUROPEAN UNION’S INTEGRATED STRATEGY IN THE SAHEL, 2011.

5)Venturini Bernardo, The EU’s Diplomatic Engagement in the Sahel, Instituto Affari Internazionali, 2022.

6)Devermont Judid, Harris Marielle, Rethinking Crisis Responses in the Sahel, Center for Strategic and international Studies, 2020.